Tra gli affreschi ritrovati nelle grotte di Borgo San Marco, un’epigrafe dipinta si trova al fianco del magnifico Cristo Pantocratore che, effigiato in trono nell’abside della cripta, benedice sollevando un braccio, in mezzo ai Santi Medici Cosma e Damiano.
A loro è intitolato il bellissimo tempietto scavato nel tenero carparo, all’interno di una lama ricoperta di ulivi secolari.
Sulla destra del Gesù intronizzato, si legge la scritta dedicatoria recita testualmente: MEME TO D(OMI) E / FAMULA TUA / DESPINA (vale a dire: «Ricordati, oh Signore, della devota tua, Despina»).
Dunque, la committente è una donna, Despina, che fra XII e XIII secolo, epoca a cui si può far risalire il contesto pittorico, è talmente benestante da poter commissionare un ciclo affrescato di straordinario livello artistico e di notevole costo.
Questa committenza femminile non soltanto costituisce una rarità, ma testimonia anche dell’elevata disponibilità economica (e perciò dell’elevato potere) di una offerente appartenente al gentil sesso: un elemento sicuramente inconsueto e pertanto prezioso, in una società, come quella del Basso Medioevo, normalmente organizzata attorno a poteri in prevalenza maschili.
Se non allude a una monaca particolarmente abbiente, la pregevole iscrizione potrebbe essere il sintomo della presenza, nel comprensorio di Fasano, di una ricca signora che poteva permettersi il lusso, estremo, di ingaggiare artisti di prim’ordine, e di pagarne profumatamente il sopraffino lavoro.
Ma chi era Despina? A quale famiglia – di probabile origine greco-orientale, dato il nome – apparteneva? Ancora non possiamo saperlo.
Di certo, affiora un che di emancipazione e affermazione muliebre, in una dedica latina che porta a riconsiderare l’entità e la composizione sociale dei frequentatori dell’habitat rupestre: non più solamente monaci e agricoltori.