Tra gli affreschi ritrovati nelle grotte di Borgo San Marco, un’epigrafe dipinta si trova al fianco del magnifico Cristo Pantocratore che, effigiato in trono nell’abside della cripta, benedice sollevando un braccio, in mezzo ai Santi Medici Cosma e Damiano.
A loro è intitolato il bellissimo tempietto scavato nel tenero carparo, all’interno di una lama ricoperta di ulivi secolari.
Sulla destra del Gesù intronizzato, si legge la scritta dedicatoria recita testualmente: MEME TO D(OMI) E / FAMULA TUA / DESPINA (vale a dire: «Ricordati, oh Signore, della devota tua, Despina»).
Dunque, la committente è una donna, di nome Despina, che fra XII e XIII secolo, epoca a cui si può far risalire il contesto pittorico, è talmente benestante da poter commissionare un ciclo affrescato di straordinario livello artistico e di notevole costo.
Questa committenza femminile non soltanto costituisce una rarità, ma testimonia anche dell’elevata disponibilità economica (e perciò dell’elevato potere) di una offerente appartenente al gentil sesso: un elemento sicuramente inconsueto e pertanto prezioso, in una società, come quella del Basso Medioevo, normalmente organizzata attorno a poteri in prevalenza maschili.
Se non allude a una monaca particolarmente abbiente, la pregevole iscrizione potrebbe essere il sintomo della presenza, nel comprensorio di Fasano, di una ricca signora che poteva permettersi il lusso, estremo, di ingaggiare artisti di prim’ordine, e di pagarne profumatamente il sopraffino lavoro.
Ma chi era Despina? A quale famiglia – di probabile origine greco-orientale, dato il nome – apparteneva? Ancora non possiamo saperlo.
Di certo, affiora un che di emancipazione e affermazione muliebre, in una dedica latina che porta a riconsiderare l’entità e la composizione sociale dei frequentatori dell’habitat rupestre: non più solamente monaci e agricoltori.
Sempre nella chiesa rupestre della masseria San Marco si legge la scritta in greco di STEFANOS, allusiva chiaramente al culto di Santo Stefano.
Culto alimentato dalla vicinanza della celebre e omonima abbazia in Puglia, vicino al mare, a sud di Monopoli.
Nella cripta di San Marco è riemerso il resto dell’affresco “stefaniano”, collocato alla sinistra del (presunto) San Norberto: il protomartire cristiano vi appare in ginocchio, mentre viene lapidato da un nugolo di persone che, nella parte alta della rappresentazione, levano le braccia per scagliargli addosso dei sassi.
L’immagine di Santo Stefano – peraltro richiamata espressamente dall’epigrafe – risulta abbastanza ben leggibile, e appare del tutto affine a un’altra rappresentazione del martirio, che alcuni artisti medievali dovettero affrescare a breve distanza, in territorio monopolitano, presso la cripta di Santa Cecilia.
Un’ulteriore lapidazione di Santo Stefano è poi presente, in Puglia, nella chiesetta rupestre di Sant’Angelo a Casalrotto.
In ogni caso, l’effigie del protomartire lapidato a morte, normalmente inserita nelle illustrazioni degli Atti degli Apostoli, deriva da modelli frequenti nei codici miniati d’origine bizantina, successivamente diffusi nell’iconografia occidentale.
Nella chiesa rupestre di masseria Borgo San Marco a Fasano la figura di STEFANOS si salda idealmente con quella dei due celebrati taumaturghi Cosma e Damiano (che abbiamo visto dipinti nell’abside, ai lati del Cristo benedicente).
Anche Santo Stefano, al pari dei Santi Medici, possiede una reputazione di guaritore.
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